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Immagine del redattoreMassimo Mancini

STORIE DIETRO LA TELA

La zattera della Medusa


Una storia vera di naufragio, di superstiti, di perdizione, di cannibalismo.

Era il 1° Luglio del 1810, La fregata francese Méduse fu varata nei cantieri della Loira Inferiore durante il periodo delle guerre Napoleoniche. Erano molte le leggende che aleggiavano intorno a quella nave; si credette sin da subito che il natante non fosse nato sotto una buona stella, tant’è che la cerimonia del varo fu di una tristezza quasi inesplicabile. La polena, rappresentante appunto la testa di Medusa, troneggiava sulla prua della nave e, a detta dei presenti, non prometteva buoni auspici. Un disastro.

Scaramanzia apparte, a farne avverare l’infame destino fu l’inesperienza di un comandante, tale Hugues Duroy de Chaumareys. L’ufficiale di marina vantava nobili origini e, anni prima si distinse non tanto per le sue doti militari, quanto più per essere uno dei rari scampati alla morte della spedizione Quiberon.


Jean Louis Théodor Géricault - La zattera della Medusa - 1818

Duroy approfittando di un decreto a lui favorevole riuscì a farsi nominare Capitano di Fregata, e beneficiò non solo del grado, ma anche della pensione, e si ritirò. Non è chiaro ciò che spinse l’arrugginito comandante a salire a bordo della fregata Medusa, soprattutto dopo aver passato quasi venticinque anni a terra; ma, per volontà, o per fato, finì comunque nella spedizione che dalla Francia andava verso il Senegal. Insieme alla Medusa, vi erano: la corvetta Echo, il Bricco Argo ed altro naviglio della flotta della Loira.

Il comandante Duroy, assecondando l’andamento fiero e rapido della fregata, distanziò di molte miglia il resto della flotta fino a perderne la vista all’orizzonte. Non correva buon sangue a bordo. Gli altri ufficiali cercarono invano di consigliare il comandante Duroy, che per altro detestavano quasi apertamente a causa di passate vicissitudini Napoleoniche. Quando si trovarono totalmente isolati sull’immensa distesa d’acqua, il comandante decise di fidarsi di un tale, un passeggero che paventava di aver già navigato in quei paraggi. Fu così che poi, sbagliando il proprio punto nave, invece di passare al largo del banco di Arguin la fregata ci s’incagliò rovinosamente sopra. Era il 2 Luglio 1816 intorno alle tre pomeridiane; il vascello resta bloccato a una dozzina di leghe fuori dalla costa Mauritana, tutti i tentativi di disincaglio da parte della ciurma sono stati praticamente inutili. Si decise di costruire un natante con materiali di recupero della nave; quella zattera che avrebbe dovuto salvare la vita a più di centocinquanta membri dell’equipaggio. Un paio di giorni dopo si abbatté una poderosa tempesta che danneggiò inesorabilmente lo scafo della fregata. Acqua nella chiglia. Si optò per l’abbandono immediato della nave. Nel disordine più totale, in un clima di ammutinamento con marinai ubriachi e ostili, si stilò, in gran segreto, una lista che ripartiva l’equipaggio sulle scialuppe e mezzi di emergenza sperando di poter raggiungere la costa Sahariana. Diciassette uomini restarono a bordo della fregata, confidenti in un prossimo salvataggio; ma ne furono ritrovati solamente tre, sopravvissuti a stento, il quattro settembre successivo.

Incidente voluto o fortuito, le scialuppe che avrebbero dovuto rimorchiare la zattera trasportandola fino a terra mollarono le cime; il peso della zattera non consentiva il rimorchio della stessa e fu così lasciata andare.


Alcuni membri dell’equipaggio riuscirono a raggiungere la costa e si avventurarono nel deserto; furono ben presto vittime dell’aspro clima, della siccità e dell’ostilità dei beduini. Pochi sopravvissuti, dopo quindici giorni, furono ritrovati erranti nel sahara da una carovana guidata da un ufficiale camuffato in abiti moreschi, e trovarono salvezza.

Il comandante Duroy fu ritrovato in mare, vivo, insieme ad altri sopravvissuti, a bordo di quel che restava delle scialuppe; totalmente alla deriva. La scoperta fu aberrante.

Quasi quindici giorni di disperazione in mare. La fame e la sete portarono i disgraziati, Impazziti e disidratati a rodere con i denti prima i cordami, poi le loro stesse cinture e i cappelli. Si scannarono fra loro. I sopravvissuti mangiarono i loro compagni morti e uccisero i più deboli. L’evento è ricordato come una delle tragedie marinare più nere.

In questa cornice catastrofica Theodore Gericault, a soli 29 anni ultimò uno dei manifesti del romanticismo francese: “La zattera della Medusa”. Forte dei racconti dei sopravvissuti e le cronache uscite sui rotocalchi del tempo, il pittore riuscì a tradurre artisticamente tutta l’angoscia e la disperazione di un evento nero in una sola scena. Un capolavoro assoluto.

Riguardo l’esecuzione dell’opera circolano storie altrettanto particolari; pare, infatti, che lo studio dei i corpi e dei toni dell’incarnato sia stato effettuato su veri e propri resti umani presi da un obitorio. Si vociferava addirittura che nell’atelier del pittore ci fu per diverso tempo una testa sotto formalina presa in prestito da un manicomio. Roba da far rabbrividire Mary Shelley, che, guarda caso, scrisse Frankenstein proprio un paio di anni prima la presentazione del quadro.

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