USA: analisi di un disastro
L'assalto al Campidoglio è solo il primo di tanti futuri problemi
In queste ore si sta consumando il dramma di Washington, dove migliaia di sostenitori di Trump, non rassegnandosi alla sconfitta elettorale, hanno assaltato il simbolo della democrazia americana, il Campidoglio, penetrando persino nelle sale interne, tanto da dover far intervenire la Guardia Nazionale.
Al momento si contano quattro morti, vari feriti e molti fermati dalle forze dell'ordine.
Ma, a parte il resoconto dei tafferugli, il fatto che molti sostenitori di Trump abbiano scelto la violenza, questo tipo di violenza, è motivo di particolare attenzione perché fenomeno nuovo e molto preoccupante. Non che gli americani non abbiano mai avuto proteste di piazza, figuriamoci, ma pur prendendosela con le autorità e le forze dell'ordine, hanno sempre dato l'impressione comunque di rientrare in un politically correct applicatoai disordini, come se anche le proteste di piazza, studentesche o meno, avessero avuto una etichetta da rispettare.
Tanto per fare un paragone, negli USA le manifestazioni non hanno mai eguagliato in violenza e premeditazione i loro cugini nord irlandesi.
Diciamo che anche nel protestare gli americani avevano un loro stile, un po' british, un po' politically correct, appunto.
Ma allora cosa è successo?
Semplice, il carnefice è diventato preda. Un popolo che ha più armi che zanzare, portato alla competizione continua (dalla scuola al lavoro) e colmo di orgoglio nazionalistico, aveva bisogno di un ultimo ingrediente del quale era sprovvisto e proprio la globalizzazione, rovina del pianeta e voluta dagli americani, ha avuto un effetto boomerang.
I gruppi di potere mondiali, fino a poco tempo fa quasi esclusivamente di stanza negli States, avevano imposto dopo decenni di lavoro, una omologazione a un modello, a un pensiero unico, una finta maggiore libertà che in realtà era assoggettamento psicologico e morale dell'intera umanità, sotto il nome della globalizzazione e dei suoi benefici.
E fino a pochi mesi fa gli era pure riuscito. Trovare gli stessi prodotti e marchi in Cambogia e in Italia, in Ucraina e in Nuova Zelanda oppure vedere una nuova serie Tv in contemporanea in Madagascar e a Oslo, crollo dei sistemi pensionistici e sanitari europei, gestione di lavoro e lavoratori all'americana, cioè senza pietà, sono tutte pratiche che noi vecchi europei abbiamo assorbito come beoni e i cui effetti devastanti si vedono quotidianamente, con un popolo americanizzato, obeso, disinteressato alla politica, violento nella quotidianità, ecc.
Ma, come si sa, il boomerang una volta lanciato torna indietro e i fautori della globalizzazione che hanno imposto al mondo il proprio materialismo, ne sono rimasti vittime e anche loro hanno assorbito alcune nostre abitudini, come quella di non avere più la concezione della gerarchia, del rispetto delle autorità, degli amministratori pubblici e soprattutto una malsana e sguaiata concezione del “fare politica”.
Un segnale di declino del gigante americano (i prodromi visibili già nell’ultima campagna elettorale, più cialtrona di quelle italiane…) il cui debito pubblico è in gran parte nelle mani dei cinesi e che deve confrontarsi non solo con loro, ma anche con indiani, arabi, russi che scalpitano.
Le immagini che in queste ore scorrono sui nostri televisori sono la certificazione che gli USA sono in grossa difficoltà e con il potenziale di violenza che hanno (per carattere e per arsenali privati) avranno sempre più problemi di ordine pubblico.
La più grande democrazia del mondo si sta piegando su se stessa, erosa dall’interno dal grande cancro del capitalismo materialista, aggravato dall’assunzione di pratiche nefaste mutuate dall’Europa e non solo.
Non è più il tempo di John Wayne o Gary Cooper, oggi si assalta il Campidoglio, il che non sarebbe un male di per sé, se la ragione fosse la rivoluzione.
Ma qui non ci sono ideologie contrapposte, non ci sono rivoluzionari, qui si tratta di un popolo imbevuto di arroganza, violenza, prepotenza che ha superato i limiti fino ad oggi posti dalla propria cultura, se vogliamo ipocrita (perché uccideva persino i presidenti purché non si arrivasse ai veri mandanti) ma che assicurava un certo ordine.
O, al contrario, nascondeva vizi e crimini dei presidenti stessi, perché occhio non vede, cuore non duole.
Ciao America, dallo stivale probabilmente non si farà in tempo a vederla crollare, l’Itali è già in agonia e i lupi ululano affamati e neanche troppo distanti, ma anche per lei sarà dura.
Battuti con le loro stesse armi dai “comunisti” di Pechino che al grido di “Lavoratori cinesi, unitevi”, li hanno anche chiusi dentro a dove si erano uniti, per produrre di più e a costi irrisori e all’ombra della Falce e del Martello, li spremono come neanche il più cattivo dei magnati occidentali potrebbe fare.
Il comunismo capitalista. Sarà questo il futuro dell’umanità?
Baccadoro
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